martedì 20 aprile 2010

Generazione di fadisti: intervista a Vitor Duarte Marceneiro



Dal nonno al nipote è la storia della canzone. E della famiglia. Il viaggio nel DNA Marceneiro è un viaggio tra generazioni che non si dimenticano dell’uomo carismatico con il fazzoletto al collo, il cappello, la sigaretta in bocca; l’uomo del fado castiço. Ti (Zio) Alfredo presentato attraverso la memoria di Vítor Duarte.

La platea dell’ormai chiuso Solar da Hermínia si chiude in un reverente silenzio. Il nonno canta. Il finale è senza sorprese. Gli applausi riempiono la sala soggiogata dalla voce e dalla chitarra. La più grande novità della serata è annunciata dalla voce dell’amico Chico Fadista. “Ma lo sapete che c’è anche la terza generazione qui? Anche Vítor canta”. Il mormorio torna a perdere di intensità e Vitór riceve dagli sconosciuti applausi e encomi. Ancora con le luci soffuse, in questa strada artistica in cui l’amore familiare non ha la meglio sulla seria critica, il nonno dà il suo verdetto, orgoglioso ma severo. “Sì, non è male. Peccato che tu canti le stesse canzoni che canto io da 30 anni! Fatti un repertorio.”

Nel suo modo sui generis concede il primo elogio al nipote. Si susseguono altri duetti tra Vítor Duarte ed il suo compagno di fado col cappello ed il fazzoletto, ed il temperamento del veterano non cambia, è sempre focoso. “Una volta è successo questo: stavamo cantando insieme e lui ad un certo punto interrompe la canzone a metà. ‘Sono stanco, non mi va più di cantare. Mi sono dimenticato delle parole’ . Chi cominciava? Chiaro, apriva il nonnino. Poi tutto quello che c’era da fare era riuscire a stare al suo passo!”.

In un concerto a Cascais Ti Alfredo, che ha già raggiunto la ragguardevole età di 89 anni, esibisce una capigliatura totalmente nera (che non nasconde, chiaramente, i trucchi del parrucchiere) e gli occhiali scuri che dopo l’operazione alla cataratta diventano indispensabili e parte integrante della sua fisionomia. L’anziana voce che da e prende non vacilla. Il corpo irsuto, falsamente incurante e distante dalle attenzioni si appoggia al muro. Una delle mani, nascosta nella tasca, continua a inibire movimenti superflui del tronco. Ti Alfredo, ribattezzato così, nasconde nelle restanti cinque dita un fazzoletto che avvicina in modo discreto alla bocca. Un dettaglio delizioso: “Incollava la dentiera con la cotognata, e la cotognata si stava sciogliendo!”

La vita di fadista non era tutta rosa e fiori. Del fado nemmeno si accennava nelle conversazioni in casa. Non si faceva fortuna e quelle nottate fuori mettevano a rischio la salute. Un bambino a cantare in quella casa? “Non pensarci nemmeno. Il fado, andare in giro la notte, non porta a niente”, diceva.

Ma almeno una delle tappe del percorso era brodo di gallina. Brodo di gallina con riso. Il manicaretto che gli ha confortato lo stomaco durante 60 anni, il manicaretto che mangiava ogni volta che tornava a casa dalle notti di fado e che divideva con i suoi fedeli scudieri. “Chiunque lo portasse a casa fermava l’auto e mangiava una zuppa con lui. Era una soddisfazione poter dire ‘sono stato a casa di Ti Alfredo!’. Le fascinose fotografie degli anni 50 hanno reso immortale un’immagine “griffata”: la sigaretta High Life tenuta tra le labbra. I poster e le caricature più emblematiche, firmate da José Pracana, sono ancora appese alle pareti della casa di Vítor, nel Sobral de Monte Agraço.

Intorno alle 70 primavere, visto l’ordine del medico, Alfredo dice addio alla nicotina. Animale notturno per destino e per piacere, inizia a vivere durante la notte quando va in pensione dal suo lavoro al cantiere navale nel 1945. Il nonno ha già oltre mezzo secolo sulle sue gambe.

Il fazzoletto che da un tocco di stile al collo ed il cappello sono molto più di due accessori personali – proteggono la gola e la testa ormai non più giovani ma che continuano a frequentare il barbiere sotto l’ormai scomparso Clube Ritz quando già sono passate le due del mattino. “Attento che non le faccia male il sole!”, lo punzecchia il nipote quando passeggiano alla luce dell’alba. “Ha sempre usato gli stessi vestiti, di inverno e d’estate. Ma in inverno indossava anche un impermeabile. E aveva sempre il fazzoletto al collo quando usciva di casa. Ha cominciato a cantare con il fazzoletto con i quadri”.

L’ascesa e la caduta della fama di un uomo si misurano al ritmo del tassametro. I tassisti sono parte importante della sua vita e garanzia di sicurezza nelle uscite notturne. Felici di portare il fadista sul sedile posteriore, si accapigliano per un viaggio con Marceneiro e sotterrano l’ascia di guerra non appena lo avvistano. “Erano uomini del quartiere che non lo lasciavano mai solo. Un giorno in Rua das Taipas, alle due e qualcosa del mattino, un taxi vede Ti Alfredo. Quando si ferma e chiede se vuole un passaggio, tre taxi si tamponano. Comincia una grande discussione fino a riconoscere che li c’era Ti Alfredo. E tutto tornò tranquillo.”

Dalla sua casa in Rua da Páscoa, a Campo de Ourique, scende alla Chiesa de Santa Isabel e viene a piedi fino al Largo do Rato. Entra nell’auto e in due secondi lo riconoscono, lanciandogli un “buona sera, Ti Alfredo!”. “Non accendevano nemmeno il tassametro. ‘Senti caro, andiamo al Bairro Alto, ma passa dalla Praça das Flores’, chiedeva Ti Alfredo. Era affinché la corsa non fosse troppo breve. Quando scendeva consegnava 20 scudi, anche se la corsa ne costava 5”.

Nel 1979 l’assenza della replica dell’autista preoccupa il maestro. Le generazioni si succedono e con loro la memoria perde la forza, così come il suo ricordo, fino ad arrivare praticamente all’anonimato. Già nessuno risponde al suo saluto. “Entra in un taxi, dice buona sera e niente. ‘Visto? Sono finito.’ I suoi antichi compagni di nottate già non c’erano più per rassicurarlo.”

Alfredo rimane in casa senza mai uscire l’anno prima di morire, quando sente un indebolimento in una gamba. Saluta il mondo nel giugno del 1982, a 94 anni, età dataci dalle ricerche che nipote che individuò nel 1888 il suo vero anno di nascita.

Vítor, che da poco è tornato dal Canada, dove ha effettuato concerti per la comunità portoghese, recupera questa ed altre biografie sul fado nel lisboanoguiness.blogs.sapo.pt, progetto creato nel 2007 con l’obiettivo di far entrare la capitale portoghese nel guiness dei primati come la città più cantata. “Molti testi parlano di una donna, donna Lisbona”. Si dedica alla ricerca, lo fa attraverso un cammino nella memoria del fado e dei suoi interpreti negli anni; lo fa grazie al suo know – how a partire dai ricordi, ricapitolando la vita e le opere dei pionieri del fado. “Trovo dati qui, giornali antichi li, persone che conoscono etc. Stavo li senza sapere che assistevo alla storia.”

Poco ascoltato, anche il fuoco della recitazione ha sempre fiammeggiato nella famiglia.

Il nonno, personaggio di grande statura di per se, entra a far parte dello spettacolo “Fado”, rappresentato al Coliseu. Inoltre fa anche un cammeo, cantando, in un film di António Lopes Ribeiro negli anni 30.

“Alla fine anche io non ho fatto l’attore. Ho fatto teatro solo a scuola e nella General Motors, ma più tardi come regista ho vissuto un po’ questo ruolo. E’ un modo di lavoro estroverso e mi piace”. Il piacere, adesso per il fado, ha guadagnato forza d’animo tra la gioventù odierna, grazie ad una cultura linguistica più depurata. “Le persone non hanno mai smesso di provare piacere nell’ascolto della chitarra, indipendentemente dal fatto di piacergli o meno il fado. Ma le parole o non erano ascoltate o pensavano che fosse sempre la solita storia della povera ragazza disgraziata, quando questo non è il fado di Marceneiro.”

Solo a 23 anni lo stesso Vitor, amante del pop degli Shadows e dei Beatles, si lascia cullare dalla canzone, vincendo così i preconcetti tipici dell’età. “Fino ad allora ero un contestatore. Lui discuteva con me ‘Questo nipote manca di rispetto al nonno!’ Io lo provocavo anche. ‘Tra poco sarò ingegnere meccanico’ gli dicevo. E lui rispondeva ‘tu che studi l’ingegneria, dimmi un po’, che vuol dire margheritina?”

“Sette colline sono il tuo collo di raso Dove le case sono margheritine nei giardini” " (Lisboa Casta Princesa, Álvaro Leal/Raul Ferrão).

Vítor butta giù bocconi amari. A 12, 13 anni, poemi come quelli di Henrique Rego, in seguito classificati come “fiabeschi”, fanno perdere la ragione alla sua coscienza rivoluzionaria. “Venivo da un quartiere di operai di Alcântara. ‘Ballare su richiesta? Io non ballo su richiesta proprio di nessuno!’ Dissi subito. E’ stato un grande sacrificio, e quanto ho ballato.”

Figlio di una sarta che morì a soli 25 anni e del “fadista ballerino” Alfredo Duarte Júnior, che lavorava alla General Motors nel reparto coloritura auto, anche Vitor entra a lavorare nello stesso stabilimento e è il superiore di uomini della stessa età dei suoi genitori.

Mentre lavora alla FIAT, come gestore principale, conosce due responsabili dell’ Hotel Eduardo VIL. Tramite amicizie vengono a sapere che è il nipote di Alfredo.

A 21 anni inizia così a sciogliere la voce al fado, con un’eredità pesante da portare. “Cominciai ad andare al Galito, a Cascais, dove c’era Zé Inácio (*), che era stato portiere da Adega Machado, o Carlos Zel, etc. Non sembrava, ma c’erano grandi artisti. Non avevo mai provato a cantare e sentivo il peso delle aspettative, quello stesso peso che sentiva mio padre nell’essere figlio di Marceneiro. Andava al Bairro Alto e tutti lo conoscevano. Li ho cantato un fado senza nemmeno sapere che stessi cantando.”

Dopo il militare Vítor incide dischi da solo e col nonno. Lavorata in laboratori fotografici e fa pubblicità. Nel 1979 produce il film che riunisce le tre generazioni fadiste della famiglia. Rimane sposato 27 anni con una cugina di secondo grado da cui ha un figlio, che precocemente muore. Dall’attuale relazione nascono due bambini, una tardiva quarta generazione che vive il proprio cognome con entusiasmo tra i sette bis nipoti del maestro.

“Ho qualcosa del modo di cantare di Marceneiro ma non sono mio nonno. Chi dice che lo imito è un cretino, perchè è semplicemente impossibile imitarlo. Ora, ho il DNA di mio nonno, questo è chiaro. Chiudo gli occhi e so che mio nonno li metteva quel certo accento.”

Vítor, a 64 anni, ricorda con nostalgia la singolare cultura del nonno, di cui ha scritto la biografia.

Quel sapere che sta al margine dei libri, chiusi in quarta elementare, di cui parlava e scriveva con una cura costellata dalla sua comprensibile ignoranza, senza solleticare la lingua e insistendo sugli accenti tonici, sfinendo la flemma degli interlocutori durante le interviste.

Bisognava saper impostare la conversazione e bisognava saper ascoltare, quando si intervistava Ti Alfredo. Il fadista non amava le risposte sincopate. E badava molto ad alcuni purismi. “Non era un uomo retrogrado, alla fine era piuttosto progressista, in alcune cose era retrogrado come posso esserlo io. Se mi domandassero oggi se il fado si è evoluto, è chiaro che rispondo che si è evoluto. Ma c’è un evoluzione che va verso un certo punto ed una certa produzione che io contesto. Per esempio, quanto più semplicemente viene suonato il celebre fado menor, alla antica, meglio è.”

Dal Bairro Alto fino alla Márcia Condessa, in Praça da Alegria, era tutto un fervore di argomentazioni tra generazioni. Parlavano e si confrontavano con tutto.

“Ero più simile a mio nonno che a mio padre. D’altra parte sono cresciuto con mio nonno. Mi ha insegnato a non frequentare nessuna donna di fado. Lui era un tipo di basso profilo. Infatti mai nessuno ha saputo se avesse una donna.”

Neppure il vaglio della censura lo disturbava molto Ti Alfredo, anche se i testi, previamente approvati, dovevano stare su un libro che doveva portare sotto il braccio quando cantava.

Alfredo portava Vítor agli spettacoli di rivista e al favoloso circo nel Coliseu, dove facevano parte della claque. La vita non era semplice e con questi biglietti regalati l’unico obbligo che avevano era quello di applaudire a dismisura.

“Il suo stesso modo di vivere il fado lo portò a non legarsi mai troppo a nessuna casa, e in seguito dissero che andava praticamente a elemosinare un posto per cantare. Non era così. La realtà è che c’era tanta gente che per sentirlo lo gratificava.”

Una cosa di cui Alfredo non voleva assolutamente sentir parlare erano grandi spostamenti. “Non ha mai voluto uscire da Lisbona, figuriamoci uscire dal Portogallo”. Inventava storie su storie per non lasciare la città. Nel 1976 lo sfidarono ad andare a fare una data al Coliseu di Oporto: l’offerta prevedeva un cachet alto con addirittura una Mercedes e un appartamento a disposizione.

“Ad un certo punto mi chiede quanta gente entra nel Coliseu. ‘Mah, un migliaio di persone, Ti Alfredo’. Mi chiamò da una parte: ‘Hai visto? 200 000 scudi, anche se la gente volesse pagare 50 scudi per vedere la mia faccia, moltiplica un po’! Rimangono al verde! E poi non ci pagano!’

Trovava mille e una scuse. Se le aggiustava bene.

Così come era ben aggiustata la merenda che si portava appresso: un panino con le polpettine di baccalà.

Arrivavano ad essere anche dieci i commensali che si disputavano un pezzettino di questa merenda, solo per il piacere di provare la specialità della moglie, la Zia Judite, della quale si innamorò un giorno durante un ballo a Fonte Santa.


(*)In realtà José Inácio, che era uno straordinario chitarrista di accompagnamento di Fado, nel Galito, suonava la chitarra portoghese, e alla chitarra classica c’era "Pirolito da Ericeira", lui sì, che era stato portiere nella Adega Machado. Questo lapsus, non dovuto alla giornalista che ha condotto l’intervista, è di mia responsabilità; preso dall’entusiasmo di parlare di queste cose potrei averla tratta in inganno.


Considero questa intervista, nell’ottica del lavoro di un giornalista, ben fatta e di esemplare rigore. Mi si permetta di sottolineare che Maria Ramos Silva, durante tutta l’intervista, faceva domande e osservazioni molto puntuali alle mie spiegazioni. Nel momento in cui l’ho elogiata per la sua conoscenza dei “Marceneiro” e del Fado mi ha risposto: - Vítor, al di la delle altre fonti, io sono una lettrice assidua del suo blog. La cosa mi ha profondamente inorgoglito.

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